Origini e testimonianze storiche
Protagonista indiscusso dei festeggiamenti civili che nel Levante si celebrano in onore dei santi patroni è il mascolo, o "antico mortaletto ligure", piccola bocca da fuoco a salve ad avancarica nata secoli fa come parte costituente dei primi rozzi cannoni a retrocarica ed in seguito, una volta resasi obsoleta nella pratica bellica, adattata all'uso rituale sostituendo le sue peculiarità di arma con quelle di strumento festaiolo.
Etimologia
Dal Vocabolario Etimologico del Pianigiani (1907, editori Albrighi & Segati, oggi disponibile su etimo.it, da cui sono state estratte le seguenti copie fotostatiche del testo originale) riportiamo un estratto dalla voce "mascolo":
Màschio e Màscolo: provenzale e antico francese mascle, masle, moderno francese mâle; antico spagnolo masclo, maslo; detto per màscolo (tuttora usato in dialetto): dal latino màsculus, diminutivo di màs (genitivo màris) maschio che vuolsi della stessa famiglia dello zendo mashya, mashjâha riflettente un sanscrito mânushya [confronto col gotico manniskas, o antico tedesco mennisc] virile, da mànus [uguale al gotico mamma e antico alto tedesco man] uomo e propriamente il pensante dalla radice ma- e man- pensare (vedi Mente e confronta Marito). Sostantivo Quello de' due sessi che feconda l'altro; per similitudine quella parte di ogni strumento ed ordigno destinato ad essere inserito nel vuoto di un altro. |
Le origini: sviluppo e declino del cannone a mascolo
Sulle origini della polvere nera è stato scritto molto, e da molti. Abbiamo deciso di riportare qui di seguito un estratto, capolavoro di rigorosa concisione, dall'autorevole opera di Tullio Seguiti "Le Mine nei lavori minerari e civili", Edizione della Rivista L'Industria Mineraria, Roma 1969, riportato da Edoardo Mori nel suo sito earmi.it:
"Sembra che già nell'antichità fossero
conosciute miscele di sostanze capaci di esplodere, la cui invenzione viene
attribuita da alcuni ai Cinesi, da altri agli Indiani e da altri ancora agli
Arabi, ma notizie di qualche attendibilità sono solo quelle che fanno risalire
all'VIII secolo l'uso del miscuglio di salnitro e carbone da parte degli Arabi
per scopi bellici. |
La prima testimonianza storica occidentale sull'esistenza di un'arma da fuoco (probabilmente) funzionante è contenuta in un manoscritto inglese conservato ad Oxford e datato 1326: si tratta del "De Notabilitatibus, Sapientia, et Prudentia Regum " di Gualtiero di Milemete, cappellano del re Edoardo II d'Inghilterra. Una miniatura di questo manoscritto (ivi sotto, tratta dall'enciclopedia "Come funziona", alla voce "cannone", ed. De Agostini, 1979) raffigura un recipiente simile ad un vaso, dal colore dell'illustrazione probabilmente realizzato in bronzo, adagiato orizzontalmente su un telaio in legno. Mediante una canna che porta all'estremità quella che sembra una miccia, o un tizzone ardente, un soldato ne provoca lo sparo. Dalla bocca di questo cannone primitivo fuoriesce un proiettile curioso ed inaspettato, molto simile ad un dardo di balestra dalla testa romboidale e dotato finanche di impennaggi caudali. Nel complesso l'arma può considerarsi come il più antico prototipo di cannone ad avancarica, probabilmente di scarsa efficacia distruttiva e ricavato da un robusto vaso nato per altri scopi.
In origine il mascolo era la parte posteriore amovibile, comprendente la culatta ed il tratto iniziale della canna (la camera di scoppio ed in alcuni casi un tratto di canna sufficiente ad alloggiare il proiettile), dei primi cannoni a retrocarica, sviluppati a partire dal secolo XIV. In altri casi il mascolo conteneva solo la carica di lancio, mentre il proiettile, in particolare quando era di grosse dimensioni, era infilato nella canna dalla bocca. Si otteneva così un sistema misto avancarica/retrocarica. Infine in alcuni casi vi era la possibilità di inserire il proiettile direttamente nella canna per retrocarica, spingerlo all'interno e successivamente posizionare il mascolo come una sorta di antenato dell'otturatore.Nella foto qui sotto, tratta da Wikipedia, direttamente dal Trecento i resti di uno dei più antichi cannoni a mascolo conosciuti. Si riconosce benissimo la culla del mascolo, attraverso cui preliminarmente il proietto era calcato nella canna e successivamente racchiuso posizionando il mascolo e forzandolo contro la parte posteriore dell'arma. Il mascolo è dotato di maniglia per una rapida movimentazione. In alto a destra sta un mascolo di cui è visibile la bocca: questa è lavorata accuratamente a giunto maschio per incastrarsi con sicurezza alla femmina della canna.
Il mascolo veniva caricato secondo la tecnica dell'avancarica e successivamente solidarizzato al cannone, in genere premendovelo con un cuneo. A tal modo era possibile, pur non avendo a disposizione armi a retrocarica, caricare i cannoni senza dover operare dalla bocca, operazione questa alquanto scomoda se effettuata su cannoni affacciati a feritoie in quanto avrebbe richiesto l'arretramento dell'affusto, il riposizionamento e la conseguente ripetizione da capo delle operazioni di puntamento; inoltre la disponibilità di più mascoli pronti all'uso consentiva di accelerare notevolmente la cadenza di tiro. Punto debole del cannone a mascolo era il collegamento fra il mascolo e la canna: la tecnologia tardo-medioevale non consentiva di ottenere giunzioni solide ed a perfetta tenuta, ragion per cui all'aumentare della potenza dell'arma aumentava anche l'entità delle perdite per sfiati (con conseguente riduzione della pressione raggiunta nella camera di scoppio), dei malfunzionamenti e degli scoppi accidentali dell'arma.
In alto: un pezzo di artiglieria navale a mascolo del XV secolo e l'illustrazione delle modalità di caricamento; il beneficio operativo di non dover arretrare l'affusto per lavorare dalla bocca è evidente. In basso: a sinistra un cannone pesante da fortezza; a destra un falconetto da fanteria pesante, antenato dei cannoni da campagna (da website.lineone.net ).
Un interessante sito internet (condottieridiventura.it) fornisce questa descrizione della nascita dell'artiglieria:
"[...] Dal francese artillerie, che deriva dall’antico artillier (fornitore di strumenti bellici), nome collettivo dato alle armi da fuoco pesanti. Le più antiche artiglierie sono dei vasi di ferro che lanciano grosse frecce, di solito incendiarie. Fin dal 1300 si conoscono le prime bombarde, il cui uso è segnalato nel 1311 all’assedio di Brescia: in pratica queste sono ancora piuttosto piccole, fuse in bronzo o costruite con verghe di ferro riunite fra loro come le doghe di una botte. Con l’invenzione della polvere da sparo, si caricano dalla culatta alla quale si assicura, mediante una bietta, il mascolo o cannone ripieno di polvere, dopo avere messo nella tromba una palla di pietra calcare o di marmo. Per far fuoco si accosta al focone del mascolo un’asta di ferro arroventata. Delle bombarde ne parla anche il Petrarca nel 1358; dopo il 1370 bombarde e cannoni sono sempre più comuni in Italia. Grosse bombarde iniziano ad essere impiegate, con successo, nelle operazioni di assedio durante la guerra di Treviso tra veneziani ed austriaci. Le capacità tecnologiche di allora permettono la realizzazione, per fusione, solo di pezzi dalle dimensioni non eccessive. Le bombarde risultano così costituite di due pezzi: la tromba (la canna vera e propria) ed il cannone, che è la parte posteriore dove si mette la polvere". |
A conti fatti, una volta perfezionata la tecnologia metallurgica e potendo quindi disporre di fonderie efficienti, gli svantaggi del caricamento a mascolo si rivelarono superiori ai vantaggi, per cui il sistema cadde in disuso, a favore delle armi ad avancarica, fuse in un unico pezzo, più sicure e dalla balistica più efficiente. A chi volesse ammirare dal vivo una nutrita collezione di originali armi a mascolo si consiglia vivamente una visita al Museo del Mare in Darsena a Genova (galatamuseodelmare.it).
Schema di montaggio di un falconetto a mascolo da fanteria pesante (da ancre.fr): si noti la canna sorretta da una forcella (l'arma era troppo pesante per essere imbracciata durante il tiro, ma abbastanza leggera da non richiedere un affusto su ruote per il trasporto), il mascolo con la maniglia per maneggiarlo e la bietta (o cuneo) da forzare fra mascolo e braga (l'occhiello posteriore) per premere il primo contro la canna ed assicurarne la tenuta. |
A sinistra: la ricostruzione di un cannone a mascolo da campagna rinascimentale, montato su affusto mobile; in seguito tale arma sarebbe stata soppiantata dai cannoni ad avancarica (da liguriadascoprire.it). Si riconosce l'alloggiamento del mascolo (il "letto" o la "culla") e, a destra, il ceppo e la mazzetta di legno per il caricamento ed il fissaggio del mascolo alla canna.A destra: un mascolo da bombarda (fine XIV secolo) perfettamente conservato presso la II Torre Cesta di San Marino, sede del Museo delle Armi Antiche della piccola Repubblica (museidistato.sm).
Due pregevolissime ricostruzioni moderne di armi a mascolo: a sinistra un cannone da campagna su affusto a ruote; a destra una bombarda manesca (un mascolo inastato, antenato del fucile). Queste armi sono repliche museali, ancorché perfettamente funzionanti e collaudate al banco di prova balistico, realizzate e commercializzate dall'associazione Storiaviva (dal sitostoriaviva.it) e collaboratori.
Si conceda allo scrivente la possibilità di riportare una chicca di rara tecnica balistica barocca: Gerolamo Cattaneo (o Girolamo Cataneo con la grafia dei suoi tempi), nel suo manualetto, facente parte della raccolta "Dell'arte militare libri cinque ... ", dal conciso titolo "AVVERTIMENTI, ET ESSAMINI INTORNO A QVELLE COSE, CHE RICHIEDONO A VN PERFETTO BOMBARDIERO, Cosi circa all' artiglieria, come anco a' fuochi arteficiati, DI GIROLAMO CATANEO NOVARESE. Da lui in molti, & diuersi luoghi ampliati, & di nuoue figure illustrati" (1582), afferma le seguenti proposizioni (in un italiano cervellotico per il lettore moderno. Nota del curatore: il testo è riprodotto fedelmente e quelli che oggi sono brutti errori di grammatica al tempo erano fronzoli barocchi e decori stilistici voluti ed approvati dall'autore):
Il caricar poi de moschetti da braga, iquali hanno il
buco |
Il moschetto da braga citato altro non è che il falconetto a mascolo rappresentato due figure sopr'anzi, arma da fanteria pesante appiedata, ed era realizzato a quel tempo con la canna in bronzo, lasciando l'impiego del ferro (che al tempo era un materiale più pregiato) per il solo mascolo e per le canne delle armi di maggior calibro, come si evince dal passaggio successivo:
Ma lasciando a dietro i pezzi di bronzo, dirassi delle
Bom |
Qui si affronta anche il problema del rinculo impulsivo di un pezzo di grosso calibro contro la parte posteriore dell'alloggiamento (il "letto" o la "culla") del mascolo. Il Nostro suggerisce di porre, fra il mascolo ed il cuneo, una piastra di piombo o, non avendola a disposizione, qualche pezzo di scarpa vecchia, ovvero plausibilmente strati di cuoio.
Il 1571 è un anno cruciale per il Mediterraneo. É l'anno di Lepanto. Interessante dal punto di vista della tecnologia militare è il saggio di Marco Morin intitolato "La battaglia di Lepanto: alcuni aspetti della tecnologia navale Veneziana" (dal convegno Meditando sull’evento di Lepanto. Odierne interpretazioni e memorie, Istituto di Studi Militari Marittimi, Venezia, 2002, su internet all'indirizzo venus.unive.it/riccdst/sdv/saggi/testi/pdf/LepantoTecnologie.pdf). In esso si fa riferimento alla classificazione delle armi da fuoco nelle categorie ad avancarica ed a retrocarica, dando per assodata a quel tempo la superiorità dei cannoni ad avancarica su quelli a mascolo, penalizzati dai già menzionati inconvenienti tecnologici che lo stato dell'arte dell'epoca non consentiva di risolvere. Riportiamo quanto segue:
"Ricordiamo subito che le artiglierie potevano essere divise in
due categorie, quelle ad avancarica e quelle a retrocarica. La prima era senza
dubbio la più importante in quanto comprendeva i pezzi più grandi e
potenti. |
In tedesco il mortaretto si chiama Böller.
Nota: queste pagine sono in continuo aggiornamento ed ampliamento. Ringraziamo anticipatamente chi volesse segnalare argomenti, fornire materiale iconografico e/o letterario, suggerire precisazioni o rettifiche al curatore del sito all'indirizzo webmaster@sori15agosto.it. Ogni fonte verrà doverosamente citata. |
Alcune testimonianze dell'uso rituale
Come, quando e con quali significati allegorici abbia avuto inizio l'usanza della sparata rituale di mascoli non ci è dato saperlo. Da fonti storiche e letterarie sappiamo tuttavia che l'origine risale quantomeno al XVII secolo. Inoltre è assodato che la tradizione dei mascoli (altrove noti come maschi, masti, mortaretti, mortaletti, trombini...) era un tempo molto più diffusa di adesso, quanto possiamo solo supporlo. Qui di seguito vengono citate alcune testimonianze del passato in cui compare il mascolo rituale.
L'uso del mascolo quale strumento festaiolo può aver avuto inizio come manifestazione sporadica con ricorso ai mascoli delle artiglierie: verificandosi un evento gaudioso si poteva a tal modo fare "botti" con minima spesa. Di questo genere sembrano essere le manifestazioni di giubilo che il Paruta e il Palmerino citano a proposito dell'inizio dei lavori di sistemazione della fontana “Pretoria” di Palermo realizzata tra il 1554 e il 1555. I cronisti ci riferiscono: “[...] il 24 ottobre 1575 “si comincio ad assettare li marmori della fontana del Pretore e si spararono diversi mascoli [...]" (dal Diario della città di Palermo pubblicato on-line su www.pietroales.it/FontPret.htm ).
Negli anni 1647-48 la città di Catania fu teatro di tumulti, i cui dettagli sono contenuti ne "LA RIVOLUZIONE IN CATANIA NEL 1647-48 NARRATA DA UN' ANTICA CRONACA ILLUSTRATA DAL SAC. G. LONGO", la cui edizione digitale è curata da Martin Guy (Catania e Raddusa, maggio 2002, vedi il testo completo all'indirizzo www.freaknet.org/martin/libri/Longo/rivoluzione.html ). Qui si narra che, presentandosi l'ennesima occasione, il popolo si rivoltò ed i nobili presi dal terrore abbandonarono la città. In seguito l'intervento del vicerè cercò di placare gli animi. A tal proposito si dice, in un italiano desueto, quanto riportato nel riquadro successivo. In calce al testo sotto citato compare la seguente nota del curatore: "Si spararono 200 maschi. La voce maschio è qui usata nel significato del masculu o masculuni siciliano, che è quella sorta di mortaletto che si carica con polvere d'archibugio in occasione di qualche solennità ". I maschi della situazione, neanche a dirlo, sono quindi i mascoli; essere dedicatario di una sparata ad personam era dunque un grande onore in quanto questo abitualmente si tributava solo nelle solennità.
CAP. VIII. Il Vicerè scrive lettere favorevoli alla plebe la quale, acconsentendo, accoglie un Governatore straordinario che rimette nella Città la perduta quiete. [...] Alli 22 si disse che li nobili volevano combattere con li popoli arme con arme e la giornata stabilita era li 23: per questo tutta la Città si mise in arme, onde quelli nobili che erano rimasti in Città se ne fugirono dove erano gli altri! Li 25 venne lettera di S. E. contro li nobili la quale molto era favorevole alli popoli e contro detti nobili. Nello stesso tempo S. E. faceva sentire che avrebbe mandato un Governatore in Catania, per la quale cosa scrisse alli popoli, se lo volevano ricevere. Subito li fu risposto che questo era il gusto delli popoli che volevano nuovo governo. Li 6 di Aprile arrivò in Catania il Sig. Governatore mandato da S. E. Fu ricevuto con grande honore e con sparare 200 maschi e tutta l'artiglieria. Da detto giorno li nobili fuggiti incominciarono a raccogliersi in Città. Detto Governatore mostrò alla Città una lettera mandata da S. M. alla Città di Catania molto affettuosa et amorosa e particolarmente per quelle teste che livarono........... |
Altra fonte letteraria secentesca che è doveroso citare è Giuseppe Berneri (1637-1700), con il suo "Meo Patacca" eroe della tradizione popolare romana (vedi it.geocities.com/mp_pollett/roma-be1i.htm ), che racconta in rima dialettale la preparazione della sparata. Il mortaretto di Meo Patacca era simile ad un pesante boccale cilindrico ("senza panza") da birra, con tanto di manico affinchè "così facil si renne a maneggiallo"; il caricamento avveniva "con gran stento" usando un tappo di legno, presumibilmente cilindrico o troncoconico. Traspare dal componimento che si trattasse di un residuato bellico in precedenza facente parte di un cannone, e non un mascolo rituale appositamente realizzato (che generalmente non ha il manico). Il sistema di accensione si componeva di una miccia inastata ad una canna, maneggiata come l'attuale bettone. Il testo originale è il seguente:
Piantati i mortaletti in
sul terreno, Così facil si renne a maneggiallo, |
Il cronista genovese Agostino Schiaffino nelle sue Memorie di Genova (1624-1647) negli accadimenti dell'anno 1624 riporta le sparate di Pegli (allora ridente paese rivierasco), laddove i principi Doria avevano una residenza di villeggiatura, in occasione della festività di San Carlo (nota: il toponimo relativo al Santo è ancora presente nell'estremo ponente della "Grande Genova", particolarmente conosciuto per tramite dell'ospedale di Voltri). Nonostante la laconicità della nota, è facilmente immaginabile l'aspetto della sparata, che doveva essere alquanto simile a quelle moderne, con aggiunta di salve di moschetti. In questi tempi passati la polvere nera era prodotta artigianalmente ed in quantità limitate. Le materie prime inoltre erano scarse nel territorio della Repubblica, mancando giacimenti degni di considerazione. Doveva dunque ragionevolmente raggiungere prezzi proibitivi per i comuni cittadini della Repubblica. Non è quindi un caso che le sparate, in cui la polvere si consumava a quintali, fossero offerte dalla famiglia più in vista del tempo.
"22- La sera de 3 e 4 di novembre il Prencipe Doria, nel suo maggior palaggio in Peggi, per la festa di San Carlo, fece belle luminarie e salva di mascoli e moschetti." |
Il sito ufficiale di Marano Lagunare (UD) (comune.maranolagunare.ud.it) riporta una descrizione della locale festa patronale di San Vito (San Vio in lingua locale), in cui compaiono le sparate di mascoli settecentesche. Qui a differenza di quanto accadeva a Pegli la polvere era pubblicamente offerta dall'amministrazione della comunità che ne stabiliva la ripartizione con accuratezza mediante un regolamento scritto. La quantità utilizzata era modesta, circa venti libbre (chiamate alternativamente "lire", al peso di oggi pressappoco dieci chilogrammi), di cui una quota veniva distribuita ai soldati della guarnigione affinchè potessero prendere parte alla festa con i propri moschetti (alternativamente chiamati archibugi). "E non più" conclude perentorio il passo sotto citato: guai ai militari che avessero sprecato un bene così costoso, o se ne fossero intascati una manciata.
"Nel Libro delle Parti, nella Regolamentazione delle spese della Comunità, a riguardo della Festa di S.Vito, si stabilisce: "Per caricare li mascoli, soliti a solennizzare la Festività dei Santi Vito, Modesto e Crescenza, le siano accordate libbre 10 di polvere e non più; lire tre di contadi per la fattura di caricarli nella semola e legna; e altre due lire alla persona che li darà foco e condurrà ove è necessario; e così pure siano bonificate altre quattro di polvere da distribuire ai soldati maranesi nell'incontro di detta solennità, onde possano caricar i loro archibugi e non più" (Libro delle Parti 25.4.1770)." |
Con un balzo in avanti giungiamo al signor Henry Beyle, al secolo Stendhal , assurto alla gloria della letteratura immortale con "La Certosa di Parma" e "Il rosso e il nero", di professione diplomatico con la passione per la letteratura. A causa del suo lavoro e della frammentazione dell'italica penisola in epoca preunitaria, Stendhal frequentò tutto lo stivale. La sua curiosità non si esaurì alle sole capitali ed alle città sedi di rappresentanze consolari, ma viaggiò anche per le terre rurali ed i centri minori, riportandone in Francia un'estesa messe di quaderni di viaggio raccolti e pubblicati in più antologie e sfruttati dallo stesso autore come riferimento informativo per le sue composizioni maggiori. A proposito di una festa patronale nella Lombardia prealpina degli inizi dell'Ottocento, incuriosito da un'usanza per lui nuova, scriveva quanto segue:
"Le campane facevano vibrar l'aria da dieci minuti, la processione (*) usciva dalla chiesa, i mortaretti (*) si fecero sentire [...] Bisogna sapere che i mortaretti (*) (o piccoli mortai) non sono altro che canne di fucile segate in modo da non aver che quattro pollici di lunghezza; perciò i contadini raccolgono avidamente le canne di fucile che, dal 1796 in poi, la politica europea ha sparso in abbondanza nelle pianure lombarde. Ridotte a quattro pollici di lunghezza, queste piccole canne vengono caricate di polvere fino agli orli, son poi situate a terra in posizione verticale, e una striscia di polvere va dall'una all'altra; sono ordinate su tre file come un battaglione, e in numero di due o trecento, in qualche luogo vicino a quello che la processione deve percorrere. Quando il Santo Sacramento si avvicina, si dà fuoco alla striscia di polvere, e comincia allora un fuoco di fila di colpi secchi, il più irregolare e il più ridicolo del mondo; le donne sono ebbre di gioia. Niente di più allegro del rumore di questi mortaretti sentito da lontano sul lago, ed attenuato dallo sciacquio delle acque ..." (da "La certosa di Parma", 1839, traduzione di Maria Ortiz, ed. BUR, cap. IX; * in italiano nel testo originale). |
Il curatore dell'edizione, Antoine Adam , aggiunge questa nota al testo :
"Nel frammento dal titolo Rivage de la mer, scritto nel dicembre 1818 e che Stendhal ha messo in Roma, Napoli e Firenze, evoca una scena in cui intervengono i mortaretti. Si svolge a Recco. E' la festa del paese. I contadini ballano. Il narratore è assordato dalle fucilate e dai mortaretti sparati in onore della Vergine da questi contadini avari e ladri". |
Parole testuali; non ce ne abbiano i recchelini. Sarà gradito colui il quale ci fornirà il testo originale dell'episodio citato, onde eventualmente confutare la versione dell'erudito francofono. In tempi in cui acquistare il metallo per produrli su misura era economicamente proibitivo, Stendhal ci illustra un espediente per procurarsi gli artifizi a partire dai residuati bellici delle guerre napoleoniche.
Nel primo Novecento l'usanza delle sparate di mascoli era ancora abbastanza diffusa. Interessantissima nota folcloristica a tal proposito è il blog "Il Libro di Orvinio" in cui il sig. Gianni Forte riporta l'opera del concittadino Amaranto Fabriani , vissuto in Orvinio (RI) nella prima metà del secolo ventesimo (librodiorvinio.blogspot.com). Si trova qui la descrizione di un'usanza molto simile alla sparata di mascoli liguri, che lo scrivente si pregia di riprodurre testualmente nel riquadro sottostante. Il mortaretto di Orvinio è funzionalmente identico al mascolo ligure, più piccolo (alto 10 centimetri e largo 5 alla base) e con la parete della canna spessa appena mezzo centimetro in sommità e uno alla base. Il focone ha diametro di cinque millimetri. Possiamo supporre che il mortaretto di Orvinio sia nato espressamente come gioco pirico, in quanto è caratterizzato da dimensioni troppo esili se confrontate con i mascoli utilizzati nell'antico cannone a retrocarica. Differenza fondamentale fra l'esecuzione delle sparate di Orvinio e quelle liguri è l'assenza di riga, che impone l'accensione dei singoli mortaretti e delle batterie (a Genova note come riondini) con un'asta dotata di miccia. Purtroppo non ci risulta che l'usanza venga attualmente perpetrata.
"Capitolo 14 - Sù e giù per Orvinio
[...] Nei locali del Municipio di Orvinio si trovano circa un
migliaio dimortaretti di
acciaio, ivi compresi i cosidetti
mortaroni, alcuni dei quali tre o quattro volte più grandi dei normali ed uno di
dimensioni ancora più grandi, della capacità di circa tre litri che viene
esploso per ultimo a conclusione della sparatoria che si effettua nelle grandi
feste e quindi il suo colpo è infinitesimamente più forte dei fratelli
minori. |
Scorrendo poi i motori di ricerca e' possibile imbattersi nel sito della Comunità Montana "Versante Tirrenico Meridionale" (comunitamontanavtm.it), costituita da nove comuni della provincia di Reggio Calabria (Delianova, Sinopoli, Molochio, Sant' Eufemia D'Aspromonte, Santa Cristina D'Aspromonte, Cosoleto, Scido, Varapodio, Oppido Mamertina). Quivi si trova la pagina dell' "Itinerario degli antichi mestieri", in cui si puo' leggere quanto riportato nel riquadro sottostante. Appare notevole la specificazione distintiva fra il mestiere di fochista e di "mascularu" indicante una curiosa separazione dei ruoli. Appare altresì curioso che il "mascularu" sia citato nell'elenco dei mestieri accanto ad altri artigiani a tempo pieno, implicando che vi fossero persone che svolgevano tale attività in forma redditizia: per poter sostentare posti di lavoro la tradizione dei mascoli doveva essere estesamente diffusa.
La devozione popolare nei paesi aspromontani è tutt'oggi molto forte ma un secolo fa le feste religiose patronali erano un vero e proprio evento tanto che la comunità popolare si manifestava in tutti i suoi aspetti in tali occasioni. Le processioni religiose e le feste patronali venivano accompagnate sempre da rappresentazioni musicali: dalla "banda pilusa" (piccolo complesso di strumenti rusticani) le prime, formata dall'organista, bandista e dal campanaro; mentre il "tamburinaru"(suonatore del tamburello) "francasciaru" (suonatore di grancascia) e il "ciaramejaru" (suonatore di zampogna) rallegravano le seconde. Vi erano poi : lo scarparo, il sellaio, il ramiere, il calderaio, il vasaio, il cerchiaio, il carbonaio, il caraiolo ("ciraru"), il "fochista", il "mascularu" che caricava e sparava i mortaretti ("masculi"). |
Un'altra testimonianza delle sparate calabre la dobbiamo agli "Appunti di Storia Oppidese a cura di Antonio Roselli" , studi storici tratti dal mensile illustrato “Storicittà”, di cui si riporta nel riquadro seguente un breve estratto. Trattasi di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio di Calabria, da non confondersi con Oppido Lucano, in provincia di Potenza. Qui la sparata di mortaretti veniva definita "batteria", facendo pensare ad una disposizione a ranghi serrati molto più concentrata della attuale sparata ligure. Inoltre essa era curiosamente accesa sulla piazza antistante l'edificio di culto prima che l'immagine sacra entrasse in chiesa, al contrario di quanto avveniva nella maggior parte dei casi analoghi, in cui la sparata salutava l'uscita dell'immagine sacra.
La tradizionale Fiera dell’Annunziata nella Oppido ottocentesca [...]. Il 25 Marzo, nell’ottocento, indicava un giorno di grande festa che veniva identificato come Festa della Gratitudine per ringraziare la Patrona per un prodigioso avvenimento dovuto ad un miracolo svoltosi in un momento di pestilenza nella Oppido cinquecentesca. [...]. La particolare Batteria che veniva attuata prima che l’immagine della Patrona entrasse in chiesa era composta da mortaretti in ferro disposti in fila lungo la piazza [...]. |
Anche nei dintorni di Oppido Lucano si usavano mortaretti a scopo rituale. Il sito starttel.it riporta il testo dell'opera di Isabella Palazzo "L'alimentazione lucana dall'Unità d'Italia ai giorni nostri". Al capitolo primo viene citato un interessante estratto da G. Bronzini, "Vita tradizionale in Basilicata" (Montemurro Editori, Matera, 1964, pagg. 328-334), in cui l'autore descrive lo svolgimento del desco nuziale. In quel di Grottole (comune della provincia di Matera che nel 2008 secondo l'Istat annoverava 2.461 abitanti ) i mortaretti accompagnavano le fucilate per richiamare a tavola gli invitati, sottintendendo probabilmente un'ovvia minaccia verso chi non avesse apprezzato la generosità dei padroni di casa.
A Oppido e a Grottole <<siccome si sposava consuetudinariamente nelle ore pomeridiane>>, il pranzo (detto a Oppido "nozza") aveva luogo nelle prime ore della sera; a Grottole <<annunziavasi con forti colpi di fucile, seguiti dallo sparo di altri mortaretti >>; e consisteva <<per lo più in maccheroni di casa (al ferro), chiamati a Grottole "fricieddi", conditi con molto formaggio e "zuchillo di ragù", e serviti in abbondanza; pollame a ragù ed arrostito, insalata, "fellata di sauzizza" (affettato di salame), noci, ulive, fichi secchi e simili; il tutto innaffiato da un buon vino paesano, servito in orciuoli di creta patinata>>, detti "rizzuli", o addirittura i fiaschi di legno col cannello... >>. |
Altra interessantissima pagina è quella, riportata in estratto nel riquadro seguente, dell' "UNIONE OPERAIA ESCURSIONISTI ITALIANI - Sezione "Antonio Tessa" - RIPA DI VERSILIA" (all' indirizzo uoei.it/ripadiversilia/apuane/tradizioni/credenze.htm). Trattando delle tradizioni del comprensorio apuano, il curatore riporta la descrizione di un rituale pirico pressoché identico, negli artifizi e nella strutturazione, alle attuali sparate di mascoli liguri. Inoltre lo stesso curatore esordisce con un'affermazione quanto mai sentita da chi ancor oggi allestisce le sparate: alla scomparsa della tradizione "probabilmente, visto che si maneggiava un buon quantitativo di polvere pirica, hanno contribuito le difficoltà burocratiche per i permessi" . A Sori abbiamo avuto modo di saperne qualcosa.
Una tradizione oramai scomparsa è quella della gazzarra durante le processioni solenni. Probabilmente, visto che si maneggiava un buon quantitativo di polvere pirica, hanno contribuito le difficoltà burocratiche per i permessi. La gazzarra era una lunga sequenza di scoppi di mortaretti sistemati lungo strade di periferia che terminava con lo "strepito" , lo scoppio in rapidissima sequenza di un gran numero di mortaretti che terminava col gran botto finale dell'apposito mortaretto gigante. La preparazione dei mortaretti durava ore ed era piuttosto pericolosa; si iniziava frantumando la polvere pirica venduta in grossi grani, ad operazione terminata venivano riempiti i mortaretti e tappati "borati" con stoppacci di carta pressati con martelli di legno per evitare qualsiasi scintilla (immaginatevi le conseguenze!). Quando tutti i mortaretti erano caricati venivano trasportati, e pesavano assai, sul luogo della gazzarra e sistemati stabilmente sul terreno ad una certa distanza in modo che tra uno scoppio e l'altro passassero alcuni secondi. Erano uniti tra di loro da uno strascico di polvere pirica che una volta accesa portava la fiamma lungo tutto il percorso facendo scoppiare, in sequenza, tutti i mortaretti. Era gran vanto di tutto il paese una gazzarra ben riuscita, mentre se un certo numero di mortaretti non scoppiava, o se lo strepito non riusciva, era motivo di pesante frustrazione. La cerimonia terminava con le campane che suonavano a festa. |
Infovizzini.it ci riporta a quella che fu la"Guerra di Santi" nella descrizione letteraria del grande romanziere Giovanni Verga. Qui viene raccontato il feroce agguato che San Pasquale ed i suoi bravi tennero agli odiatissimi fedeli di San Rocco. Gli aggressori tentarono di cammuffare le loro recondite intenzioni attribuendo lo scoppio accidentale delle ostilità all'attività provocatoria di alcuni elementi sparsi. Il Verga tuttavia afferma, ancorchè palesandolo tra le righe, la deliberata premeditazione dell'atto da parte dei seguaci di San Pasquale oramai ebbri della propria bile per la grandiosità dei festeggiamenti organizzati dal comitato avversario. E' da notare il fatto che con duemila mascoli, allora come oggi, la sparata fosse considerata già di dimensioni notevoli.
Tutt'a un tratto, mentre San Rocco se ne andava tranquillamente per la sua
strada, sotto il baldacchino, coi cani al guinzaglio, un gran numero di ceri
accesi tutt'intorno, e la banda, la processione, la calca dei devoti, accadde
una parapiglia, un fuggi fuggi, un casa del diavolo: preti che scappavano colle
sottane per aria, trombe e clarinetti sulla faccia, donne che strillavano, il
sangue a rigagnoli, e le legnate che piovevano come pere fradicie fin sotto il
naso di San Rocco benedetto. Accorsero il pretore, il sindaco, i carabinieri; le
ossa rotte furono portate all'ospedale, i più riottosi andarono a dormire in
prigione, il santo tornò in chiesa di corsa più che a passo di processione, e la
festa finì come le commedie di Pulcinella. |
Informa il curatore della pagina che questa:
Era solo l'inizio di una novella del Verga che descriveva come allora si
vivevano i giorni di festa, le rivalità tra i devoti di San Rocco e quelli di
San Pasquale. |
Il curiosissimo mascolo di Vizzini, a differenza dei mascoli liguri, non aveva il focone ma veniva singolarmente acceso dal fochino tramite la bocca della canna.
Sparate notevoli si svolgevano presso il Santuario della Madonna di Termine in Pentone (CZ) il cui sito viene citato testualmente nel seguente riquadro. Viene fornito un interessante dato statistico: nel 1843 a Pentone si spararono seimila mascoli in una festa sola, quantità veramente ragguardevole e paragonabile alle più grandi sparate attualmente svolte nel Levante genovese. Interessante è anche il fatto che "i festeggiamenti si svolgevano con un programma molto simile, nelle grandi linee, a quello attuale". Non sono tuttavia riportate informazioni precise sull'attuale eventuale persistenza di una tradizione pirotecnica che utilizzi i mortaretti in ferro.
Dai citati
documenti è da ammettere, come si è detto, che negli ultimi anni del '600
e nella prima metà del '700, la festa in onore della SS. Vergine delle Grazie si
celebrava solo a Pentone e consisteva quasi esclusivamente in cerimonie
religiose. Non è da escludersi, però, l'ipotesi che in epoca antecedente
si celebrasse anche a Termine [...]. All'inizio dell'800
e, probabilmente, anche nella seconda metà del '700, dopo la ricostruzione
della Chiesa Rurale, i festeggiamenti si svolgevano con un programma molto
simile, nelle grandi linee, a quello attuale. |
Possiamo a questo punto formulare alcune congetture. Innanzitutto il cannone a mascolo era diffuso in tutto il Vecchio Continente, e quindi l'estensione dello stesso all'uso rituale era in linea di principio alla portata di tutti gli europei. Tale uso è particolarmente documentato per quanto riguarda l'Italia, dalle Alpi alla Sicilia, da fonti letterarie inequivocabili oltre che da una notevole messe di cronache e memorie minori. L'uso del mascolo rituale, sotto i piu' disparati nomi, era dunque in passato molto diffuso. Notiamo tuttavia nelle parole di Stendhal l'atteggiamento del turista ottocentesco di nobili natali che si rivolge ai suoi compatrioti per descriver loro un'usanza forestiera stravagante e completamente sconosciuta presso la madrepatria. Lo scrittore non fa riferimento ad alcuna altra nazione in cui potrebbe aver assistito a qualcosa di simile; indubbiamente se ciò fosse accaduto Stendhal, che un po' vanesio lo era, ne avrebbe parlato a mo' di sfoggio di erudizione e conoscenza del mondo. Quindi i casi sono due: o in Francia e nelle altre contrade visitate dal letterato (che, è bene rammentarlo, svolgeva attività diplomatica ed era quindi sempre in giro) l'usanza era già desueta al punto di cancellarne la memoria folclorica, o non si è sviluppata per nulla, nel qual caso il mascolo rituale sarebbe un fenomeno puramente italiano.
In giro per l'Italia in cerca di botti e sparate
Nonostante il quasi completo oblio delle tradizioni piriche legate al mascolo, in alcuni luoghi d'Italia sopravvivono usanze molto simili all' "antico mortaletto ligure". Ne citiamo qui solo alcune, pubblicizzate su internet.
La festa dei Trombini (festa della SS. Trinità a San Bartolomeo delle Montagne, frazione di Selva di Progno - Verona): riportiamo una sintesi (con inserto fotografico) della pagina lessiniapark.it/sagre/2/2.html dedicata a questo pittoresco rito, per lo svolgimento del quale è stata costituita una apposita associazione pirotecnica. Citandone il sito ufficiale (itrombini.it), attualmente a San Bortolo delle Montagne una nutrita schiera di pistonieri o trombonieri (gli sparatori di questa arma di cui viene sottolineato dagli autori il carattere inoffensivo) perpetuano le antiche usanze dei loro avi, partecipando con i loro schioppi a rendere liete le feste del proprio paese e dei paesi della provincia di Verona e di altre città del Veneto, venendo invitati anche all’estero per rendere più interessanti e spettacolari le varie occasioni di festa.
«In occasione della Festa della S.S Trinità (la domenica successiva alla Pentecoste) si tiene a San Bartolomeo delle Montagne la Festa dei Trombini, piricamente patrocinata a partire dal 1976 dall' Associazione Trombini di San Bortolo che ne ha fatto una Festa dei trombini, mentre in precedenza era soprattutto una festa religiosa. [...] Il trombino ha la funzione di produrre un forte rumore ("botto") con fumo, secondo un rituale di "scongiuro" contro gli spiriti maligni e le avversità, ma anche con un significato di festa e gioia. La presenza dei trombini è attestata in varie zone della provincia di Verona da alcuni secoli, ma in particolare in Lessinia. |
L`uso del trombino segue oggi un particolare cerimoniale. Prima dello sparo vi è la sfilata dei trombini, lo schieramento ed il caricamento (foto a sinistra), cui sovritende un comandante: i "trombonieri" in costume, coi pezzi in spalla, marciano in colonna preceduti da bandiere e labaro portati da ragazze in costume e da uno o due suonatori di corno. Lo schieramento avviene in una zona adatta, lontana dal pubblico, con i "trombonieri" disposti a semicerchio ed i trombini collocati a terra. Il caricamento e lo sparo richiedono notevole esperienza: il trombino si carica versando una prima piccola dose di polvere nera con grafite nella canna, distribuita col misurino dal comandante. Con una bacchetta di legno si batte sul fianco del trombino in modo che la polvere riempia bene il cannello e che arrivi al porta-capsula dove batte il cane. Una seconda dose di polvere nera da mina viene poi distribuita sempre dal comandante (in ragione diversa a seconda della grandezza del trombino) e compressa con asta e mazza di legno assieme ad alcuni brandelli di giornale. Il comandante distribuisce quindi una capsula d`innesco, detta "patrona". Ogni pistoniere per ripararsi dallo scoppio e dalle bruciature ha avvolto sulla gamba sinistra un pezzo di sacco ("s-ciavin"). Dopo il suono del corno che avverte gli spettatori dell`imminienza dello sparo, ogni tromboniere solleva l`arma in braccio con la canna rivolta al terreno ed il dito posto sul grilletto. Gli spari si susseguono singoli od in copia, o a tre, secondo gli ordini dal comandante. Lo sparo (foto a destra) è spettacolare ed assordante come il botto di un cannone, fragoroso e fumoso. Il trombino inizialmente rivolto verso il basso, per il forte rinculo viene sospinto in alto e questa manovra va controllata dallo sparatore accompagnandola con un mezzo giro del busto ed una rotazione di 180° sollevando il pesante pezzo sulla spalla sinistra. Il tutto in modo da non essere gettati a terra dal rinculo. Dalla nube si spande un acre odore di polvere da sparo. I trombini si sparavano e si sparano ancora durante il "Gloria" del Sabato Santo, durante le feste e le sagre locali in Lessinia, l`ingresso di nuovi parroci ed alcuni matrimoni.» |
I trombini sono diffusi un po' in tutta la Lessinia Cimbra. Si tratta della zona geografica situata per la maggior parte nella provincia di Verona e parzialmente in quelle di Vicenza e Trento, solcata da numerose valli e comprendente nel suo seno la rinomata Valpolicella. Analogo appuntamento pirotecnico si tiene a Marano di Valpolicella: ogni anno la domenica seguente San Marco (25 aprile) la popolazione celebra la festa della Beata Vergine della Valverde (maranovalpolicella.it). Riportiamo testualmente nel primo dei riquadri seguenti un estratto dalle pagine web di Marano, in cui appaiono compartecipare ai festeggiamenti anche i già citati trombonieri di San Bortolo, e l'analoga associazione dei Pistonieri dell'Abbazia di Badia Calavena (ipistonieridellabbazia.it), il cui sito riporta una precisa descrizione della storia e della pratica dell'arte dei trombini, qui citata in estratto nel secondo dei riquadri seguenti.
[...] I tromboni sono pezzi di artiglieria ad avancarica, originari della montagna ed opera di pazienti artigiani. Si rifanno gli archibugi o le colubrine del 1600 e del 1700. Queste armi, cui vengono assegnati nomi assai caratteristici, pesano circa 50 kg e sono composte da un grosso calcio di legno con base assai larga e da una canna la cui bocca si apre verso l’esterno richiamando la forma d’una campana. Gli esemplari più belli, opera di valenti artigiani, hanno la parte lignea finemente decorata e abbellita da parti metalliche, mentre la sezione terminale della canna reca in fusione rilievi di figure e di fiori. [...] Come si vede dalle foto [sopra, n.d.r.], l'uomo punta a terra il trombone. Premuto il grilletto, con l'esplosione fumosa e fragorosa, sfruttando la forza di rinculo, solleva il pezzo girando su se stesso. [...] Quest'anno (2005, n.d.c.) hanno onorato la Madonna con gli spari dei loro tromboni, oltre che il locale gruppo, anche i gruppi di Badia Calavena ("Gruppo Pistonieri dell'Abbazia", n.d.c.) e San Bartolomeo delle Montagne. |
Che cos'é: il Trombino della Lessinia Cimbra, detto anche Pistone o più semplicemente "sciopo da sagra", è un arma ad avancarica con innesco a "luminello" più efficace dell' antico sistema a pietra focaia. Dal punto di vista legale è un arma da sparo a tutti gli effetti anche se per dimensioni, conformazione e tecnica può essere caricata solamente a salve dovendo per forza essere puntata esclusivamente a terra. Questo la rende inoffensiva come è ampiamente documentato dalle cronache di una tradizione pluricentenaria. Dove si è evoluto: le fonti storiche e le più antiche testimonianze fotografiche dicono che il Trombino si è evoluto e ha assunto la forma e le dimensioni attuali in un'area geoculturale molto ristretta costituita dall'alta Val di Chiampo e della Lessinia Cimbra dei XIII Comuni Veronesi della quale Badia Calavena è stata per lungo tempo il capoluogo. Le vicende economiche che hanno ridotto i flussi migratori verso altre località contigue hanno contribuito ad allargare l'areale fino ai primi decenni del '900. Oggi, dopo un periodo di declino nel secondo dopoguerra, il Trombino è stato rivalutato e divulgato dall'attività associativa dei "Pistonieri dell'Abbazia" di Badia Calavena e da altre associazioni. L'origine: non esistono documentazioni certe circa l'origine del Trombino ma si può ragionevolmente ricondurle ad un evoluzione delle colubrine spagnole e veneziane. Come nei secoli abbia perso la sua connotazione di arma per assumere quella di strumento di festa non è ancora dato di sapere con certezza. Le genti dell'altopiano e delle montagne prospicienti i passi che dall'ex confine del sud Tirolo arrivano in Lessinia hanno spesso assolto funzioni di guardiani armati dei valichi. La dimestichezza con polvere da sparo ed armi ha sicuramente contribuito, attraverso i numerosi cambiamenti socio politico militari, alla decantazione di questo meraviglioso strumento folkloristico diventò nei secoli sinonimo di forza fisica ed orgoglio delle genti Cimbre. Quando si usa: nel termine "sciopo da sagra" si intuisce la funzione ancor oggi tipica del Trombino. Il fragore degli scoppi segna l'inizio delle feste paesane e delle sagre, da il vie a a gare di atletica o più modeste tenzoni popolari, saluta i novelli sposi, esprime la gioia per la nascita di un figlio, festeggia il santo patrono e le ricorrenze civili. E' storicamente documentato che lo sparo dei Trombini accompagnava i riti della Settimana Santa e di altre feste religiose, accoglieva il nuovo anno, i nuovi parroci ed i vescovi in visita pastorali. |
[...] già nel tempo feudale questo giacimento veniva
coltivato dalle famiglie locali. Ogni famiglia aveva il suo "croso" (buco dal
quale estraevano il minerale). [...] A trasportare il minerale erano solitamente
le donne e i ragazzi, che con enorme fatica lo portavano fuori dai "crosi" per
ammucchiarlo nel piazzale. L'escavazione divenne con il tempo indiscriminata e
vi furono così parecchi crolli con la conseguente perdita di vite
umane. Questo fece si che le escavazioni venissero successivamente
regolamentate eliminando così anche i continui diverbi tra famiglie, a volte
anche sanguinosi, per lo sconfinamento in miniera. Il ferro estratto serviva principalmente per la costruzione di arnesi agricoli e ceppi per ruote dei carri. Curiosità storica: questo ferro veniva anche utilizzato per la costruzione dei "mortaretti", una sorta di ceppi in ghisa con un buco centrale e un piccolo forellino al lato della base. Veniva riempito di polvere nera e innescato con la fiamma facendo così esplodere la carica. Servivano nelle feste e generalmente si facevano brillare le cariche dalla sommità del campanile. |
Sarà cordialmente gradito e degno di amicizia chiunque volesse segnalare al curatore luoghi, eventi e tradizioni (passate ed attuali) inerenti alle sparate rituali di mascoli, mortaretti e simili artifizi, all'indirizzo webmaster@sori15agosto.it. Ogni fonte verrà doverosamente citata. |